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Berio

Carlo Giuseppe Vespasiano Berio

Abate di famiglia nobile, Carlo Giuseppe Vespasiano Berio nacque il 30 gennaio 1713. La famiglia era originaria di Porto Maurizio e proprietaria nella Riviera di Ponente di estese coltivazioni di uliveti, dalle quali derivava buona parte delle proprie ricchezze. L’altro ramo della famiglia, discendente dallo zio paterno dell’abate, viveva invece a Napoli, ma fu ascritta alla nobiltà di Genova quale ricompensa per un prestito di 50.000 lire al governo della Repubblica di Genova impegnata nella guerra di successione austriaca.

Berio studiò presso i Gesuiti, prima a Bologna e poi a Genova, dove si laureò in teologia nel Collegio di San Tommaso, di cui fu in seguito rettore e decano.
Visse con il fratello maggiore in un palazzo nella strada di San Sebastiano (in parte demolita in seguito all’apertura di via Roma), poi con uno dei cugini del ramo napoletano nel palazzo Raggi di via del Campo e, dal 1792 fino alla morte, avvenuta il 26 novembre 1794, in piazza Campetto nel palazzo di proprietà di Giulio Imperiale di Sant’Angelo. L’abate è sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa della S.S. Annunziata del Vastato.

Persona di cultura profonda e rispettosa dei valori tradizionali, fu però aperto alle novità del suo tempo. Le scienze soprattutto destavano il suo interesse ed era questo tratto della sua personalità a colpire particolarmente i suoi contemporanei. Riceveva in abbonamento le principali riviste scientifiche dell’epoca e aveva allestito nella sua abitazione un laboratorio per esperimenti di fisica e scienze naturali, che venivano eseguiti davanti a un pubblico di appassionati, seguendo le scoperte più recenti, come quelle sull’elettricità dei suoi contemporanei Franklin, Nollet e Volta. Si serviva di macchine modernissime importate dall’estero o costruite appositamente da Giulio Ferrini, abile meccanico genovese poi assunto dall’Università. Pare che sia stato su consiglio dell’abate Berio che il Magistrato dei Padri del Comune abbia fatto munire la Lanterna di un parafulmine, già collocato nel 1778, nemmeno trent’anni dopo il celebre esperimento condotto da Franklin.

Impiegò una parte del proprio patrimonio nella formazione di una ricca biblioteca, che egli volle aprire regolarmente agli studiosi interessati a visitarla.
Già allestita nel palazzo di via del Campo, la biblioteca fu trasferita poi in Campetto, al secondo piano nobile del palazzo Imperiale. Occupava una sala e quattro stanze adiacenti all’abitazione dell’abate. I libri erano in una «scanzia grande» collocata «nel scagno», dove si trovava anche un piccolo archivio («altra sganzia con sue arve entro cui varie scritture»). L’arredo era semplice, funzionale, con qualche eleganza. Per prendere i volumi collocati nella parte alta degli scaffali e nelle «sopraporte» erano disponibili cinque scale e una scaletta bassa da due gradini. Nella «sala della libreria» si trovava un grande tavolo o banco per la consultazione dei libri con quattro panche per sedersi. Un altro tavolo con dieci sgabelli era nella «seconda stanza de libri». Qui si trovava il catalogo redatto dallo stesso abate, che faceva apporre su ogni volume un ex libris per testimoniarne la proprietà.

I contemporanei descrivono la biblioteca dell’abate come «copiosa e sceltissima» e «arricchita dalle più ricercate e rare edizioni»: alla morte del proprietario comprendeva circa 17.000 volumi, poco più di un terzo dei quali (ca. 6.000) è giunto fino a noi, soprattutto a causa dei danni provocati dagli incendi seguiti ai bombardamenti del 1942, quando la biblioteca, divenuta di proprietà comunale, si trovava ormai da oltre un secolo nel Palazzo dell’Accademia in piazza De Ferrari. Dalla biblioteca dell’abate Berio ha, infatti, avuto origine l’attuale biblioteca civica: furono gli eredi dell’abate a donare la collezione al re di Sardegna Vittorio Emanuele I che a sua volta ne fece dono alla città, che ne entrò in possesso nel 1824. Inizialmente aperta nei locali di palazzo Imperiale, nel 1831 fu trasferita nell’edificio progettato dall’architetto Carlo Barabino accanto al Teatro Carlo Felice, che ne è stato la sede fino al 1998.

Proprio alla ricchezza della biblioteca dell’abate Berio, aggiornata nelle ultime novità librarie prodotte dalla cultura del secondo Settecento e impreziosita da edizioni rare e da manoscritti antichi grazie alla passione culturale e al gusto di bibliofilo dell’abate, è dovuto molto del prestigio dell’attuale Biblioteca Berio, considerata una delle principali biblioteche storiche italiane di proprietà comunale

 

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