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Beatrice Solinas Donghi

 

La rubrica “Una settimana con...,” iniziativa del Sistema Bibliotecario Urbano, è dedicata questa settimana a Beatrice Solinas Donghi, un’autrice stimata anche da Italo Calvino per suoi romanzi e i lavori critici e di ricerca sul mondo delle fiabe tradizionali e non solo. Beatrice Solinas Donghi nacque a Serra Riccò, un Comune vicino a Genova, figlia di un padre nobile di casato , scrittore e giornalista, e da madre inglese pittrice.

Si laurea in Lettere a indirizzo moderno all’Università di Genova e a 25 anni comincia a lavorare come giornalista presso il quotidiano “Il Giornale”. Inizia in quegli anni la sua passione per la letteratura per ragazzi, tanto da impegnarla nella lettura di ogni libro pubblicato per i più piccoli e gli adolescenti. Beatrice Solinas Doghi è però soprattutto una scrittrice che si fa conoscere al grande pubblico con le pubblicazioni di: Fiabe a Genova,(1972), Le fiabe incatenate(1979), Fiabe liguri,(1980), La gran fiaba intrecciata(1981), Quell'estate al castello(1986) 1º premio al Premio di Letteratura per Ragazzi di Cento, La figlia dell'imperatore (1990) e il seguito Le due imperatrici (1996); L' avvenire di Flaminio, (2001) La trilogia di Alice (Alice per le strade, Alice e Antonia, Alice e le vecchie conoscenze). Importanti anche i suoi saggi critici A rionda di cuculli: filastrocche genovesi e liguri, (1974) e La fiaba come racconto, (1976).

Ha pubblicato anche varie raccolte di racconti per adulti tra il 1961 e il 2010: Natale non mio (1961), L'aquilone drago (1966) e, più distanziati nel tempo, Gli sguardi (1982), La bella fuga (1992), Città d'esilio (2003), Vite alternative (2010). Il racconto è sempre stato la sua ideale misura narrativa.

L'uomo fedele (1965) e Le voci incrociate (1970) sono i suoi due romanzi. Il primo di essi fu finalista al Premio Campiello.

Beatrice Solinas Donghi ha collaborato con la rivista di letteratura giovanile “LG argomenti” e con la pagina culturale del “Secolo XIX”, negli anni settanta e ottanta. Muore a Genova nel 2015, pochi anni prima aveva donato gran parte del suo patrimonio artistico al Comune di Serra Riccò, cittadina dove era nata.

 

 

 

 

 

 

 

Sette fiabe dentro una storia di Beatrice Solinas Donghi è un libro particolare che ricorda la magia del racconto medioevale con le sue strutture combinatorie nella narrazione. Il tempo nel quale si svolge l’azione è però più recente: infatti il libro inizia con un treno che “attraversa la campagna, sbuffando fumo dalla locomotiva. Questo succedeva al tempo dei tempi, quando le locomotive avevano un fumaiolo altissimo e i vagoni somigliavano a carrozze senza cavalli.”

Sei persone viaggiano nello stesso vagone: quattro sono passeggeri che hanno regolarmente prenotato il posto in prima classe: un professore dall’aria molto seria e con i baffi, una signorina molto graziosa e con lunghi boccoli a cavatappi, la sua cameriera dal naso a punta e un personaggio misterioso con una giacca scura abbottonata fino al mento. Ai quattro passeggeri si aggiungono un ragazzo povero che vuole provare l’ebbrezza del viaggio senza aver pagato il biglietto e un soldato novellino che, stufo di subire scherzi dai commilitoni anziani, si è rifugiato nell’ultimo scompartimento. Improvvisamente però la carrozza si stacca dal treno, senza che nessun passeggero subisca danni,grazie a una fitta e robusta siepe che impedisce il disastro. I sei passeggeri cercano aiuto e trovano ospitalità nell’albergo “Il pappagallo strabico”. Il proprietario è un mago fallito che inganna i passeggeri offrendoli un caffè dallo strano sapore. Dopo aver bevuto la bevanda magica, tutti i passeggeri rimangono eternamente incollati alla sedia. La condizione posta dal terribile albergatore per la liberazione, è che ogni ospite racconti una storia. Solo se le fiabe saranno belle, ognuno sarà liberato, viceversa verrà chiuso in cantina in attesa del pagamento di un cospicuo riscatto. E così ogni personaggio inventa una storia ispirandosi alla propria esperienza di vita, ma l’infido albergatore trova finti difetti in tutti i racconti. Un primo simpatico colpo di scena avviene con la quarta meravigliosa storia che viene raccontata da un pappagallo e una scimmia: gli animali domestici del terribile mago. Ma è l’ultima fiaba a riservare la grande sorpresa e soprattutto a rivelare l’identità del viaggiatore misterioso. Un libro godibile e delicato nella scrittura e che, grazie al pretesto del mago, ci permette di conoscere sette nuove storie oltre al meraviglioso sviluppo dell’intreccio narrativo.

Il brano scelto è l’inizio della fiaba raccontata dalla cameriera e s’intitola:

TRE RAMPE DI SCALE

..due amiche Rosa e Viola, cercavano lavoro. Arrivate in città, sentono dire che in una certa casa di una certa piazza qualcuno aveva bisogno di una ragazza per fare i servizi.

- Questo lavoro lo prendo io, - dice subito Rosa che era un po’ prepotente- Tu, Viola te lo troverai per conto tuo.

La piantò lì e andò avanti fino alla piazza. C’era un caseggiato di tre piani e affacciato a una finestra del primo piano c’era un vecchio che fumava la pipa. Rosa, di giù, gli domandò se era lui che cercava una donna per le faccende, ma il vecchio era un po’ sordo e non la capiva.

- Non ci sento! Parla forte più forte!- E dicendo così, la pipa gli scappò di bocca e cascò di sotto. – Uh, la mia pipa! Fammi il piacere, ragazza, riportamela su, ma stà attenta a non rompere le scale.

Bisogna sapere che in quel caseggiato la prima rampa era tutta di porcellana. Rosa andò su senza tanti riguardi, pestando i tacchi, e spezzòun bel po’ di scalini.

- Brutta maleducata!- disse il vecchio, che era uscito ad aspettarla sul pianerottolo, appoggiato al suo bastone. – E la mia pipa?

- Me la sono scordata. Ma dite siete voi che cercate una ragazza perle faccende?

- - Anche se la cercassi, te non ti prenderei!-

- Si sentì una risatina e Rosa alzando la testa vide una vecchietta che curiosava dal pianerottolo del secondo piano e intanto lavorava a maglia svelta svelta. Proprio in quel momento il gomitolo le cascò e ruzzolò di sotto.

- - Il mio gomitolo! Me lo riporti, carina? Ma attenta alle scale che non ti si rompano.

In questa seconda rampa gli scalini erano di vetro. Rosa non fece attenzione e ne fracassò una quantità.

- Che disastro!-strillava la vecchietta- E' il mio gomitolo?

- - Me lo sono scordato. Ma dite un po’, è qui che cercano una ragazza per le faccende?

Dal piano di sopra si sentì una vociaccia: -È’qui . è qui. Sali pure, ma attenta a non rompere le scale.

Quest’ultima rampa era fatta di gusci d’uovo, figurarsi! Rosa la mandò in briciole tutta quanta….

 

FIABE INCATENATE

Le fiabe incatenate sono state pubblicate da Beatrice Solinas Donghi nel lontano 1979. Si chiamano incatenate in quanto ognuna racconta una vicenda completa, ma possiede un elemento all’interno della narrazione che sarà sviluppato e prenderà importanza nella fiaba successiva. Il collegamento tra una vicenda e l’altra può essere dato da semi di zucca magici che si trasformano in monete d’oro, oppure da un soldato che, nella fiaba precedente deve controllare la partenza di una carrozza che dovrebbe trasportare una principessa che però scompare dopo ogni ballo, e in quella successiva lo stesso giovane milite è il protagonista innamorato di una statua che in realtà è la figlia di un re, incatenata nel marmo e che può tornare alla vita con acqua pura di fonte raccolta con un ditale o dalle lacrime di un uomo veramente innamorato. Beatrice Solinas Donghi si rifà ancora una volta alla letteratura medioevale, dove in alcuni libi si usava iniziare il capitolo successivo con la frase che aveva concluso il precedente. L’autrice di Serra Riccò sarebbe potuta entrare, secondo me, a ben diritto per le sue sperimentazioni letterarie, come membro dell’OuLiPo (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero "officina di letteratura potenziale"). Il gruppo (non ristretto) era costituito da scrittori e matematici di lingua francese che mirava a creare opere usando, tra le altre, le tecniche della scrittura vincolata detta anche a restrizione. Venne fondato nel 1960 da Raymond Queneau e François Le Lionnais. Non tutte le fiabe dell’autrice sono riuscite nello stesso modo, come sempre succede quando si avvicina l’elemento matematico alla letteratura.

Scegliamo ora l’inizio de la fiaba intitolata “La cugina Martina” che fa ben comprendere il legame che unisce le diverse storie tra loro.

Per provare il principio di questa favola si torna alle bambole meccaniche che un re aveva fatto fabbricare per la contessa Dea, nella favole delle fate in gabbia. Queste undici bambole grandi come persone andarono disperse quando la contessa perdette i suoi possedimenti. Qualcuna finì tra i rottami, altre in una vetrina di mode a mostrare le novità della stagione, ma l’undicesima capitò tra le mani di un re e il re la regalò a sua figlia. La principessa era ancora piccola ma aveva molta ambizione e guardando quella bambola con i capelli di seta e le guance color di rosa sospirava: -Chissà se da grande sarò bella come te -….

 

Alleghiamo anche i video dell’intervista a Beatrice Solinas Donghi, realizzati dalla Provincia di Genova. Nei video l’autrice, che si presenta con grande modestia, afferma che all’inizio lo scrittore dovrebbe imparare a copiare, introducendo solo qualche modifica a testi già famosi, e solo in un secondo tempo inventare nuove storie. Beatrice Solinas Donghi confessa anche di amare solo le storie che hanno all’interno elementi di possibilità, mentre le fiabe senza nessuna aggancio con la realtà non sono di suo gradimento. Con molta umiltà racconta anche la sua professione di scrittrice, le sue amicizie con Giorgio Bassani e Camilla Salvago Raggi. La terza parte dell’intervista è dedicata alle sue passioni per la musica lirica e la poesia.

Video intervista parte prima

Video intervista parte seconda

Video intervista parte terza

 

Marino Muratore, curatore della rubrica

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